Jennifer, o io chi sono. E voi chi siete?
Jennifer.
Le labbra si devono allontanare per poter pronunciare il mio nome e si sfiorano appena per far uscire come un soffio di vento la f. Me lo ripeto, Jennifer, come un mantra curativo. Mi piace farlo, pensare al significante, dargli un significato. Io sono Jennifer. A volte mentre faccio questa cosa, quella di pronunciare il mio nome a me stessa, di mettere soggetto – verbo – nome in fila, sorrido perché so perfettamente che ci viene assegnato alla nascita il nome, ma chissà poi se si incolla alla perfezione a ciò che la nostra immagine proietta di noi.
Sono il mio nome? Col tempo ho cambiato idea tante di quelle volte. Ho pensato ciò che penserebbe chiunque si soffermasse a rifletterci sopra. Sono il mio nome, perché gli altri mi vedono attraverso di esso, o sono altro? E cosa sono, chi sono se non sono Jennifer?
Ho 30 anni e tra qualche giro di luna ne compirò 31. I miei 31 atipici, i miei 31 vivi. Non ho mai festeggiato il mio compleanno, o meglio, lo festeggiavo quando ero più piccola ma poi stare al centro dell’attenzione mi ha schiacciato col tempo, aspettare che mi cantassero “tanti auguri a te” mi ha sempre messo in imbarazzo, dove le metti le mani, e dove devi guardare insomma. Così un giorno a mia madre ho detto “Non voglio festeggiare il compleanno, voglio fare le cose che piacciono a me”. Avevo 12 anni.
Ora siamo ai 31. Per il mio compleanno quest’anno farò hiking su un vulcano attivo. Mi sveglierò alle due di notte e mi metterò a camminare alle 3. Salirò in cima e vedrò l’alba dai cieli di un altro emisfero. Intorno, la natura. Sono in forte connessione con la natura, mi sento pienamente parte di essa, non matrigna da sconfiggere, ma madre da curare. La sento dentro in maniera viscerale e lei mi regala in cambio la bellezza delle cose. È questo il mio regalo di compleanno: vedrò il sole sorgere e sarò dall’altra parte del mondo, da sola.
Arrivati a un certo punto della nostra vita abbiamo tutti pensato almeno una volta di esserci persi, di non sapere chi siamo, e dall’altro lato sentiamo invece – e in maniera arrogante – la pressione costante della società che ci osserva. Dove stai andando, cosa stai facendo, quanto tempo ci stai mettendo. Io non la vedo mica tanto la differenza tra il momento di imbarazzo di quando aspetti di soffiare le candeline sulla torta di compleanno e quello dell’ambiente socio-antropologico in cui siamo immersi. Ho studiato lingue, poi moda, poi di nuovo lingue, poi marketing e colleziono ancora conoscenze. Non smetto mai di apprendere, mi piace essere camaleontica.
Io sono Jennifer e vivo da sola in Francia, sono qui su queste strade poetiche e sotto questi cieli uggiosi da due anni. Insegno, e mi piace molto, ma come molti ragazzi della mia generazione io, in tutta onestà, non so cosa farò un domani. Un po’, a furia di sentirci dire che dobbiamo essere “flessibili”, alla fine flessibili lo siamo diventati davvero. Mi immagino comunque libera di scegliere il mio angolo di mondo, continuare a trasmettere conoscenze, fare qualcosa anche per la Terra.
Io sono Jennifer e viaggio da sola. Mi piace, è la cosa che mi piace di più al mondo. Negli anni ho imparato a mettere insieme i pezzi della mia vita, a darmi delle spiegazioni, ad avere tante piccole epifanie ai miei occhi. Un giorno ho letto da qualche parte che una volta entrati nel flusso di guarigione e riconnessione con noi stessi, quando iniziamo a essere chi veramente vogliamo essere, in quel momento lì, se ci fermiamo un attimo a guardare cosa stiamo facendo, scopriremo che è esattamente al nostro bambino interiore che ci siamo ricollegati. Facciamo esattamente ciò che ci piaceva fare da piccoli, e magari lo abbiamo messo da parte per un po’ nel corso degli anni.
Io, per esempio, mi arrampicavo sugli alberi a testa in giù, camminavo scalza, a piedi nudi sull’asfalto anche dopo la pioggia, e i miei libri preferiti erano “Il libro della giunga” e “I viaggi di Gulliver”. Se ci penso ora mi scappa un sorriso. Nemmeno sapevo leggere all’epoca, ma mi piaceva vedere le immagini della foresta, del mare, questi lunghi viaggi.
C’è il grande tema del viaggio nella mia vita.
Il viaggio è stata anche la mia cura, la mia doccia calda, il mio balsamo lenitivo. Viaggiare da sola mi ha permesso di riflettere molto, di avere male ai piedi e spurgare il dolore dell’anima, di sorprendermi ancora una volta per le piccole cose, di fidarmi delle persone e ancora di più del mio istinto, di amare tutto ciò che mi circonda, e tutti, perché la vita è troppo breve.
Abitare all’estero e viaggiare di continuo ha due facce della medaglia: da un lato la ricerca costante di bellezza che mi nutre, dall’altro l’impossibilità, forse, di connettersi con la stabilità.
Non ho una casa, non ho un lavoro fisso e non ho un compagno di avventure.
Se dovessi essere in gara con altri miei coetanei sicuramente non otterrei il trofeo per essermi classificata nei tempi previsti per ciò che è “comune e normale a quest’età”. Ma di nuovo, cos’è comune? Significante-significato. Proiezione. E comunque, non siamo mica in gara. Chissà perché ci siamo ritrovati a pensarlo.
La verità è che io gioisco quando i miei amici comprano casa, quando un’amica riceve una proposta di matrimonio, quando nascono piccoli cuccioli d’uomo, quando c’è la stabilità. Perché sono loro ad esserne felici e io lo sono per riflesso.
Il mio equilibrio è attualmente il disequilibrio. Il mio equilibrio è il mio stare bene con me stessa e le scelte che faccio. Il mio equilibrio è cambiare posto. Il mio equilibrio è non avere ancora la responsabilità di prendere una casa. Il mio equilibrio è avere la possibilità di cambiare lavoro fintanto che lo vorrò. Il mio equilibrio è svegliarmi la mattina ed essere grata perché sono ancora viva e respiro, e mi sono lasciata dietro ciò che “la società” vorrebbe da non-so-chi.
Quella pressione non la sento più, me la sono lasciata dietro come i compleanni non festeggiati nella maniera convenzionale. Che poi è un po’ questo il segreto della felicità, fare ciò che noi vogliamo, secondo i nostri tempi, virare, cambiare rotta, godere di tutto fintanto che sentiamo il nostro cuore e la nostra pancia che ci dicono “sì”. Sempre fedeli a noi stessi, al nostro bambino interiore, a ciò che vogliamo e non ciò che forse gli altri vogliono per noi.
31 anni. Poche certezze materiali ma una certezza che mi vale il mondo: io so chi sono, io sono Jennifer e le conferisco io, a modo mio, il suo significato.